Thiesi, il mestiere del carbonaio

Antonio Santoru, Antonio Peralta, Giuseppe Meloni
13/04/2015
Tradizioni
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Fino a pochi decenni fa, la fonte di energia più diffusa anche a Thiesi era il carbone vegetale: si usava per scaldarsi, per cucinare e per svolgere mestieri diversi.

In molti dei nostri paesi c’era sempre qualche famiglia che svolgeva questa attività nei fitti boschi di lecci e roverella che li circondavano almeno fino a metà del sec. XIX, e con i proprietari divideva il prodotto finale. Il carbone può essere prodotto con diversi tipi di legna, ma il migliore proviene dal leccio e dalla roverella, mentre quello di lentisco e corbezzolo era ritenuto più adatto per la fucina del fabbro. La resa dipende dal tipo di legna: ad esempio, per produrre 1 quintale di carbone servono circa 6 quintali di roverella e 4 di leccio.

Il lavoro del carbonaio non era remunerativo: infatti si praticava in genere come integrazione di altro reddito, e soprattutto in luoghi boscati impervi non adatti all’agricoltura e da cui era più semplice e meno costoso trasportare la legna già trasformata in carbone.  Era inoltre lungo e faticoso: si lavorava da ottobre fino a maggio e per preparare la carbonaia occorreva il lavoro anche di un mese di 2-3 uomini, in quanto tutto veniva fatto a mano con scure e sega; dopo aver preparato il tanto di legna per una carbonaia, questa veniva accesa e intanto si predisponeva tutto per la successiva. Per questo, data la lontananza dal paese e spesso anche da ovili, i carbonai costruivano con rami e frasche su pinnetu, un riparo provvisorio per la notte e le intemperie.

Una volta tagliata la legna in pezzi di dimensioni diverse, si cerca lì vicino una parte di terreno pianeggiante per allestire la carbonaia, sa chea. Si scelgono 5-6 pezzi di legna fra i più grossi che vanno disposti  in circolo, lasciando al centro un vuoto del diametro di 40-50 cm, chiamato s’imbucu. Continuando la costruzione si affiancano, a quelli già posizionati precedentemente, gli altri pezzi di legna sempre in forma circolare: il diametro dipende dalla quantità di legna a disposizione. Si procede a sistemare la legna sopra quella già posizionata in orizzontale perpendicolare verso l’ esterno, sempre lasciando libero al centro il buco. Quando si finisce di sistemare la legna, le si costruisce un sorta di muretto di pietre intorno, distante circa 20 cm da essa e in questo vuoto vengono sistemate frasche con tante foglie, in modo che l’aria filtri all’interno per tenere sempre acceso il fuoco. Sopra la legna, ben ordinate ed intrecciate tra loro, saranno sistemate altre frasche che, infine, saranno ricoperte di terra di bosco, soffice e leggera in modo che all’interno possa penetrarvi l’aria. Il tutto sembrerà una collinetta, in un punto della quale vengono sistemate pietre piatte che, come una scala, consentiranno di salire in cima. Le dimensioni della carbonaia dipendono dalla quantità di legna: ad esempio con 25-30 quintali di legna avrà 4-5 m. di larghezza e sarà alta 3-4 m.

Per accenderla, vengono introdotti dall’alto, nel foro lasciato libero –s’imbucu-   pezzi di legna secca e, dal fuoco acceso poco distante, della brace e dell’altra legna sino a riempirlo: a questo punto si attende che il tutto si accenda. Quando questo avviene, viene messa una pietra per tappare il foro. Il giorno successivo, ad un’ altezza di circa 50 cm da terra e poi di  1 metro e mezzo, si praticano dei fori laterali del diametro 5-6 cm, a distanza di 1 metro l’uno dall’altro, per arieggiare e far uscire il fumo.

L’operazione di riempimento con altra legna viene fatta mattina e sera per i 5 giorni seguenti e, durante questo periodo, la carbonaia viene vegliata 24 h su 24 in quanto, se ci fossero dei cedimenti, bisognerebbe intervenire. Dopo una settimana circa dall’accensione, quando tutto l’insieme si abbassa e frana un po’ su se stesso, si capisce che la legna si è trasformata in carbone: a questo punto, si aspetta un giorno  ancora prima di iniziare a levare la terra con un grande rastrello – a ispizare - e si inizia ad estrarre il carbone.
Mano a mano che viene levato, il carbone va disteso e ricoperto nuovamente di terra in modo che si spenga ed acquisisca la giusta tempra: quando raffredda, è pronto per l’uso. Quello buono non tinge le mani, non unge e “risuona”.
A questo punto, si riempivano i sacchi e, a dorso d’asino o cavallo e poi sui carri, si trasportava in paese nei luoghi di smercio.

Alcune notizie

Il consumo familiare si aggirava, per cucinare e scaldarsi, in 4-5 Kg al giorno. In genere si procedeva all’acquisto della provvista settimanale.
L’ultima carbonaia a Thiesi, è stata fatta dal Sig. Antonio Santoru nel 1950. Il costo era di 500 £ al quintale.
A Thiesi le rivendite erano gestite direttamente dai carbonai, i Fr.lli Santoru in via Lamarmora e dai Sig.ri Batistini in via Matteotti.
Arrivavano anche commercianti di Buddusò con il loro prodotto, mentre i Fr.lli Masia di Ittiri, lo prelevavano direttamente dalle carbonaie thiesine e lo portavano a vendere nel loro paese. Il Sig. Filippo Nurra portava e vendeva il carbone ad Alghero.
Le carbonaie venivano allestite in località quali Sas Baddes, Sa Ruta, Monte sa Rughe, Miti, M. Frulciu, ma anche a M. Santu.

I carbonai:

Gavino Santoru e i suoi figli: Paolo, Favore, Giuseppe, Bainzu, P. Lorenzo, Francesco e Antonio, suo nipote, che ha preparato l’ultima carbonaia di Thiesi nel 1950;
Sebastiano Seddaiu (Tiu Trecento); Billia Ruda; Cicu Dore; Peppe Cossu (Cilindro): Giuseppe Serra (de Marradore);
Sebastiano Piredda e Paulesu, entrambi di Illorai, venuti a Thiesi con i Santoru, dove poi si sono sposati; Pietro Masia (De Macia) Lorenzo Uras di Giave;

Strumenti di lavoro

Scure, sega per tagliare la legna, rastrelli, pala, corbule e canestri per la terra e raccogliere il carbone; sacchi per trasportarlo, zoccoli di legno per passare sopra la terra calda mentre la si separava dal carbone; pentole e stoviglie.

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