Anche la Sardegna, o più precisamente il Meilogu, ha avuto il suo Manzoni. Il romanzo storico si è sviluppato nel territorio grazie all’abilità narrativa del cossoinese Gavino Cossu, contemporaneo del più celebre autore lombardo e considerato fra i pionieri della letteratura realista isolana del XIX secolo.
Nato a Cossoine nel 1844, Gavino crebbe fra il paese natale e la vicina Bonnanaro, dedicandosi precocemente alla lettura e alla scrittura. Divenuto maestro elementare, si dedicò in seguito alla mansione di ispettore scolastico, ruolo che lo portò a viaggiare in lungo e in largo per la Sardegna, da Ozieri a Cagliari e in molti altri luoghi, estendendo ben presto la sua competenza su 199 istituti sparsi per una regione ( già ai tempi) mal collegata e in cui ogni viaggio ancora rappresentava un’avventura. La sua folgorante carriera gli aprì le porte per ricoprire prestigiose cariche, fra cui quella di Rettore del Provveditorato agli Studi di Cagliari, e ottenere importanti riconoscimenti come – tramite Decreto Regio – l’investitura a Cavaliere della Corona d’Italia.
Ma, accanto al lavoro e ai riconoscimenti ufficiali, Gavino Cossu non smise mai di portare avanti la sua attività letteraria, che rappresentò senza dubbio la sua più grande passione. Fu instancabile produttore di scritti pubblicistici, infatti molti suoi interventi, quali “La Sardegna in Età Preistorica” o “La Poesia” sono comparsi, fra il gli anni ’70 ed ’80 del 1800, sulle pagine culturali di pubblicazioni in voga come “La Stella di Sardegna” , “Il Corriere di Sardegna” e “Avvenire di Sardegna della Domenica”; divenne, per un periodo, direttore della “Gazzetta di Sassari”.
Lo scrittore cossoinese è stato però soprattutto un abile romanziere: un narratore capace di tessere trame raffiguranti realistici affreschi storici ambientati in Sardegna, mescolati spesso a luoghi di fantasia ispirati da leggende paesane quali, ad esempio, quelle legate al vulcano spento di “Su mammuscone”. I suoi romanzi, giudicati appassionanti e seguiti già all’epoca da un folto numero di lettori (limitati purtroppo ai soli abbonati dei quotidiani che pubblicavano le sue opere) univano sacro e profano, meticolosa ricostruzione storica e suggestioni popolari, sullo sfondo di sotterranei, prigioni, segrete di castelli, misteriose sparizioni.
La sua opera più nota, “Il Colle del Diavolo”, uscì a puntate in appendice al “Corriere di Sardegna” e fu successivamente pubblicato – in edizione limitata – dalla stessa testata cagliaritana nel 1869, per gli abbonati al giornale. Stampato in tiratura limitatissima, “Il colle del diavolo” è ormai una rarità, tanto che la suddetta edizione è attualmente conservata in cataloghi pubblici regionali e nazionali in soli tre esemplari e in legatura non originale. Tali copie sono conservate presso la Biblioteca “Studi Sardi” di Cagliari, la Biblioteca Universitaria di Sassari e la Biblioteca di Sardegna di Cargeghe. Alla fine degli anni ’80 del ‘900 il regista sassarese Giampiero Cubeddu, recentemente scomparso, ha sceneggiato il romanzo in riduzione radiofonica per la sede Rai della Sardegna, in quaranta puntate da 15 minuti l’una.
“La Pazza della Maddalena”, uscito invece come romanzo d’appendice sulle colonne del quotidiano “Avvenire di Sardegna” nel 1871, fu pubblicato in 42 puntate consecutive e narrava, a detta dello stesso autore “li tristi fatti di Maria la pazza di cui scrivere la dolorosa storia e renderla pubblica, di ritorno dall’isola di Maddalena”. Del 1882 è invece l’opera “Gli Anchita e i Brundanu – racconto sardo del secolo XVII”, uscito sempre con il giornale “Avvenire di Sardegna”. Anche di queste ultime due opere restano, purtroppo, solamente tre copie, conservate presso le medesime biblioteche di Cagliari e Sassari e, in acquisizione ottica digitale, presso la Biblioteca di Cargeghe.
Di salute cagionevole, Gavino Cossu morì all’Ospedale Civile di Sassari il 22 settembre del 1890, all’età di 46 anni, e le sue spoglie sono state ai suoi tempi deposte presso il Cimitero Monumentale di Sassari. Tre giorni dopo la sua scomparsa, lo storico Emilio Gabba lo salutò con un lungo scritto dalle pagine de “L’Unione Sarda”, dicendo di lui, fra l’altro “Freddo, agghiacciante nel suo laconismo, il telegrafo reca la notizia della morte del distinto ispettore scolastico cav. Gavino Cossu. Ancora commosso, e non bene riavuto dalla prima dolorosissima impressione, vengo a dire di lui e della sua vita sinceramente, come riconoscenza ed affetto d'amico me ne fanno dovere. Cossoine gli diè la culla; natura un potente ingegno e pregi che lo innalzarono oltre la sfera comune; Sassari l'ultimo asilo. (…) Volere è potere credo fosse il suo dogma; Debole di salute, sarebbe stato ben per lui seguire i premurosi consigli degli amici e ritirarsi a vita privata, ma preferì cadere nella breccia piuttosto che abbandonare la carriera con tanto amore abbracciata”.
Che eredità ci resta di Gavino Cossu, lui che non è ricordato fra i massimi esponenti della letteratura sarda e nazionale fra cui sarà annoverata, in seguito, la celeberrima Grazia Deledda? La scarsa tiratura di stampa delle opere già ai suoi tempi, i pressoché assenti cenni di indagine critica successivi, la difficoltà di diffusione dell’epoca di opere letterarie di questo tipo rispetto alla divulgazione che poté vantare, ad esempio, Alessandro Manzoni, hanno fatto di questo romanziere cossoinese un autore minore e spesso dimenticato. I suoi concittadini, che salutò con una dedica nel romanzo del 1882 “Gli Anchita e i Brundanu”, lo hanno in più occasioni ricordato e, nel 2004, l’Amministrazione Comunale ha pubblicato un’opera di Giacomino Pittalis che ne ripercorre l’esistenza, all’interno del volume “Un paese del Logudoro, Cossoine e dintorni nella storia di Sardegna”. Del resto pare che lo stesso Gavino Cossu si schermisse, definendosi “incapace di fare opera artistica, ma ben contento di poter offrire l’occasione che altri scriva racconti storici migliori dei suoi”.