BANARI. Continua l'opera di ricostruzione storica del territorio portata avanti dagli studiosi Giovanni Deriu e Salvatore Chessa. Con anche il prezioso contributo dell'archivista Marcello Derudas, hanno dato alle stampe, per i tipi della Nuova stampa color, il supplemento al secondo tomo del loro “Meilogu”. In esso troviamo un proseguimento della discussione relativa all'appartenenza del Prioriato di Santa Maria di Sea: ospedaliero o vallombrosano? «Siamo in grado di asserire – si legge nel libro – che disponiamo di certezze a vantaggio di Vallombrosa, laddove permangono molti dubbi per quel che afferisce ad Altopascio».
Gli autori elaborano una prima riflessione in merito all'epigrafe del 1260 che si trova sul lato destro della chiesa. «Dall'unica croce a “Tau” vera propria (poiché per Deriu e Chessa la seconda è una croce latina, Ndr) […] non scaturisce affatto che il monastero fosse necessariamente affiliato ad Altopascio. Occorre precisare, infatti, che la croce a “Tau” veniva utilizzata alla stregua di segno distintivo di chi aveva giurisdizione spirituale, diretta o indiretta, giacché nell'iconografia sacra, siffatta croce si nota persino nelle mani degli eremiti dei primi secoli del cristianesimo: Sant'Antonio abate, per esempio. […] Non è dunque da escludere, nel nostro caso specifico, che la croce a “Tau” dell'epigrafe possa corrispondere […] al bastone dall'impugnatura a T di San Giovanni Gualberto, fondatore dell'Ordine Vallombrosano».
La tesi ospedaliera è messa in discussione anche in riferimento a un atto del Capitolo generale dell’Ordine di Altopascio, tenutosi nella Casa Madre il 6 maggio 1358: «[…] Item fratem Iohannem Selvani de Piscia licet absentem tanquam presentem ad regendum hospitale Sancti Jacobi de Allexandria et hospitale Sancti Hugonis de begulia de Corsica, et hospitale Sancte Marie de Sieve et ecclesiam Sancti Jacobi et Sancti Micaelis de Siasi de Sardinea […]». Per Deriu e Chessa l'equazione Sieve=Sea è attendibile solo graficamente ma «non è però sicura, anche alla luce dei molteplici casi di omonimia che, da sempre, hanno contraddistinto la toponomastica sarda».
Tra i documenti che attesterebbero l'appartenenza a Vallombrosa gli autori citano un inventario del 1273 citato da un recente saggio di Carla Piras (“I benedettini di Vallombrosa in Sardegna” del 2012): «Sancte Marie de Seve» è inserita «nel novero delle chiese appartenenti al monastero vallombrosano di Salvennero, unitamente a San Pietro di Coghinas, San Giorgio di Cossoine, San Michele di Murusas, Sant’Antimo di Salvennero e San Michele di Salvennero».
Infine la bolla “Pia vota fidelium” del 1474 trascritta e tradotta nell'opera da Marcello Derudas (autore della seconda parte del supplemento relativa al “Rituale di apertura della Porta Santa di San Michele di Salvennero e di Santa Maria di Sea”).
In essa Papa Sisto IV «scrive al vescovo di Ploaghe e ai suoi collaboratori, affinché comunichino a Francesco, abate di San Michele di Salvennero dell’Ordine di Vallombrosa, nella Diocesi di Ploaghe, la conferma della donazione del monastero di San Michele ai Minori Osservanti della Sardegna, giusta loro richiesta e con approvazione di Matteo, abate di Santa Trinità a Firenze, nonché vicario del Padre Generale». Inoltre «eleva al grado di monastero il priorato di Santa Maria di Sea, sempre dell’Ordine di Vallombrosa, nella suddetta Diocesi di Ploaghe, con tutti i privilegi abbaziali da aggiungersi a quelli già posseduti dal cenobio, dove l’abate Francesco dovrà trasferire la sua sede, e gli eventuali monaci, diventando abate di Santa Maria di Sea».
Questo quanto scritto nella bolla: «[…] confirmavit et approvabit, dummodo prioratus S. Mariae prope villam Dese, dictorum ordinis et dioecesis, qui de mensa et bonis dicti monasterii exsistit, ac prope quem sunt plurima bona ipsius monasterii S. Michaelis et ad quem abbas praefati monasterii S. Michaelis divertere nonnunquam consuevit, in monasterio erigatur, prout in quibusdam instrumentis publicis desuper confectis plenius dicitur contineri. […] Et nihilominus monasterium S. Michaelis praedictum et illius nomen et abbatialem dignitatem, necnon bona etiam mobilia et immobilia omnia, exceptis illius structuris et illis adiacentibus locis necessariis pro fratrum praedictorum officinis, hortis et hortalitiis, et cum abbate et conventu ac monachis praedictis, si qui sunt, ut praefertur, ad prioratum praedictum eadem auctoritate transferatis, necnon structuras ipsas cum adiacentibus locis praedictis fratribus pro domo inibi construenda pro eorum usu et habitatione perpetuis cum ecclesia, campanili humili, campana, coemeterio, dormitorio, refectorio, claustro, hortis, hortalitiis, et aliis necessariis officinis praefata auctoritate applicetis et approprietis […]».