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Lettera di un pastore a Papa Francesco

di Fortunato Ladu

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Carissimo Papa Francesco ti voglio raccontare una storia che vede protagonisti alcuni pastori di circa 2000 anni fa. Chissà che paura in quella notte di veglia, con un cometa impellente sopra le loro teste presagio di sventura, ma ancora oggi sinonimo di Avvento. Quell’Angelo venuto dal cielo ordinò loro di andare in giro per il mondo ad annunciare la nascita del Salvatore. Certo che era facile trasmettere agli altri la Buona Novella avezzi come erano a trasferirsi da un pascolo all’altro per dare ai loro animali quello che forse a loro mancava, il giusto sostentamento. Da allora i pastori del mondo hanno attraversato in lungo e in largo Europa Asia e persino l’Australia dove ancora oggi si allevano razze pregiate dalla cui lana oggi vengono tessuti i migliori abiti dei migliori stilisti. Di contro le razze da latte hanno sfamato le legioni Romane, i poveri del mondo, entusiasmato gourmet di mezzo mondo, sfamato gli Americani durante la crisi del 1929. Grande mestiere il Pastore, forse non difficile come quello di anime ma impegnativo, oggi come allora: ma ahimè se da una parte oggi siamo diventati più evoluti dall’altra la nostra condizione di schiavi ieri dei re e vassalli oggi di una modernità subdola e mistificatrice, non è cambiata. Quindi Santità oggi a distanza di duemila e passa anni aspettiamo il pagamento di quella cambiale che ci firmò l’Angelo di Dio. Non servono soldi Santità, serve un grido della Chiesa che scuota le coscienze dei potenti affinchè venga riconosciuto a noi lavoratori della Terra, agli operai, ai cass’integrati, ai disoccupati, ai poveri, alle vittime di ingiustizie un giusto riconoscimento sociale che vada al di là del semplice sussidio. Abbiamo passato il mese di agosto ad aiutare i nostri colleghi vittime del fuoco che ha distrutto i nostri pascoli, abbiamo seppellito colleghi vittime di questa follia, abbiamo aiutato a rifornire le mense di assistenza, abbiamo coinvolto i camionisti per trasportare da un capo all’altro della Sardegna insieme al fieno un po’ di felicità. Le istituzioni anche in questo caso se non ci hanno ignorato ci hanno boicottato a volte rifiutando un carico perché magari proveniente da una parte di diverso credo politico. Nel mentre, quasi fossimo il popolo del faraone d’Egitto, la piaga mai sopita della Lingua Blu ci stà facendo dimenticare che settembre è il mese da cui si riinizia la nuova annata agraria e i trattori non vengono usati per arare ma per interrare i nostri animali e con loro la nostra dignità di Pastori Sardi. Muoiono a migliaia e noi siamo impotenti di fronte a un flagello che nessuno dei nostri stessi figli diventati oggi veterinai e ricercatori è in grado di sconfiggere. Tutto per noi è imposto tutto dobbiamo accettare in virtù di pene certe e di aleatori incassi. Pene se non puoi pagare le tasse, se non compili bene il registro aziendale, pene se non paghi Equitalia, pene per tutto. Incassi? Quando va bene le spese sono alla pari con gli incassi diversamente questo mondo che dà lavoro compreso l’indotto a quasi centomila persone, questo popolo si arrangia. Avrei voluto dirgliele di persona Santo Padre, ma la Chiesa anche in questa occasione ci ha relegato al ruolo di sempre, subordinato a tutto e a tutti e io obbedisco, proprio come quei preti che vanno dove li manda il proprio Vescovo. Forse parlerà qualcuno che farà sentire meglio la propria voce ma noi ci consoliamo pensando che comunque alla fine gli ultimi saranno i primi anche se mi sarebbe piaciuto che una parte di questo premio lo avessi ricevuto anche in questa vita terrena. Io non ci sarò Santo Padre, dedicherò la mia giornata ai deboli, a quelli che hanno comunque bisogno di aiuto, a quelli che come Ubaldo Miscali morto nell’incendio di Ghilarza hanno dato un prezzo alla propria vita, inferiore alla vita dei propri animali. Lo scopo sarebbe stato di stringerla in un abbracio che avrebbe trasmesso l’affetto e l’odore di un Pastore, ma tant’è e come sempre “obbedienti al comando del Salvatore “

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