Sono passati settanta anni da quando, il 24 marzo 1944, nelle cave di via Ardeatina alle porte di Roma, i nazisti uccisero barbaramente 335 uomini. Il giorno precedente, il 23 marzo, i partigiani comunisti appartenenti ai Gruppi di Azione Patriotica fecero esplodere una bomba nella strada di via Rasella, mentre veniva attraversata dai soldati altoatesini del III battaglione del reggimento “Bozen”. A causa dell’esplosione e nelle ore successive morirono 33 soldati e numerosi furono i feriti. La risposta delle autorità militari tedesche fu immediata ed atroce. L’azione partigiana fu il pretesto per attuare una feroce rappresaglia che culminò con il massacro delle Fosse Ardeatine. Si trattava di civili rastrellati a caso nelle vie adiacenti all’attentato, di ebrei, di detenuti comuni, di condannati a morte o in attesa di giudizio, prelevati per lo più dal carcere di via Tasso e dal terzo braccio tedesco di Regina Coeli; uomini innocenti, estranei ai fatti di via Rasella.
Tra i 335 martiri vi erano anche nove giovani sardi, le cui vicende biografiche sono state ricostruite dallo studioso e docente dell’Università di Sassari, Martino Contu. Cinque di questi erano civili: Gavino De Lunas, impiegato delle Poste e cantautore, Salvatore Canalis, docente di lettere, Giuseppe Medas, avvocato, Sisinnio Mocci, operaio e “Antonio” Ignazio Piras, contadino. Mentre i restanti quattro erano militari: Pasqualino Cocco, sergente pilota della Regia Aeronautica, Agostino Napoleone, sottotenente di vascello della Regia Marina, Candido Manca e Gerardo Sergi, brigadieri dei Regi Carabinieri.
Gavino De Lunas nacque nel 1895 a Padria, fu uno dei maggiori rappresentanti del canto sardo a chitarra durante la prima metà del Novecento. Grande compositore e poeta, dotato di una voce melodiosa, raggiunse l’apice del successo soprattutto negli anni Trenta grazie alla diffusione in tutta l’Italia dei suoi dischi. La sua fama come cantante coincise anche con il trasferimento dalle poste di Cagliari, dove lavorava, a quelle dell’Aquila, in seguito al suo rifiuto di tesseramento al PNF. Nel corso degli anni subì altri trasferimenti fino ad approdare alle Poste Centrali di Roma. Nella capitale, dopo l’8 settembre 1943, collaborò clandestinamente con la resistenza romana, nonostante fosse inquadrato nel Battaglione Volontari di Sardegna “Giovanni Maria Angioj”, formazione etnica della Repubblica Sociale Italiana. Il 26 febbraio 1944 fu arrestato dalle SS e fu detenuto nel carcere di via Tasso.
Rifiutò, invece, di aderire alla Repubblica di Salò l’insegnante Salvatore Canalis di Tula, classe 1908. Sposato con una giovane belga, Canalis era un docente amato e rispettato dagli allievi della Scuola Militare di Roma. Dopo la firma dell’armistizio e l’occupazione militare della capitale, si mise in contatto con i partigiani del Partito d’azione; in seguito al suo rifiuto di schierarsi con i fascisti fu arrestato il 14 marzo 1944 dagli uomini della famosa Banda Koch, i quali dopo averlo torturato sotto interrogatorio lo condussero a San Gregorio al Celio.
Apparteneva al Partito d’Azione anche l’avvocato Giuseppe Medas, nato a Narbolia nel 1908. A Roma aderì al movimento di “Giustizia e Libertà”, collaborando con la propaganda clandestina anti-nazi-fascista. Fu arrestato il 3 marzo 1944 e rinchiuso a Regina Coeli.
Secondo alcune fonti, Ignazio Piras apparteneva alla Banda partigiana Maroncelli, la quale operava nelle zone dell’alto Lazio. Il suo nome di battaglia era Antonio; originario di Lotzorai dove nacque nel 1879.
Una vita intensa quella del villacidrese Sisinnio Mocci, classe 1903. Iscritto al Partito comunista italiano, alla fine degli anni Venti emigrò in America latina, forse Buenos Aires, dove visse per tre anni, infatti, nel 1930 decise di fare ritorno in Europa. Visse prima in Francia, poi a Mosca, combatté con le Brigate internazionali Garibaldi nella Guerra Civile spagnola, al termine della quale venne internato nel campo di concentramento di Vernet. Nel 1941 fu rimpatriato a Cagliari; processato, venne mandato al confino a Ventotene, da dove venne liberato dopo la caduta del fascismo. Raggiunse Roma ed entrò a far parte della Resistenza romana, comandò una banda partigiana che operava nel Lazio. Durante quel periodo trovò accoglienza, come finto maggiordomo, nella casa del regista Luchino Visconti, anch’esso attivo nella lotta clandestina. Fu arrestato il 28 febbraio 1944, dagli agenti della Banda Koch, dopo essere stato torturato fu consegnato alle SS che lo rinchiusero nel carcere di via Tasso.
Il sergente Pasqualino Cocco era nato a Sedilo nel 1920; sin dà piccolo aveva dimostrato una certa passione per il volo, tanto che divenne pilota della Regia Aeronautica. Quando l’Italia firmò l’armistizio il Cocco si trovava a Foligno, e scampò alla cattura da parte dei tedeschi, dandosi alla macchia. Raggiunse Roma come fecero molti militari sardi allo sbando, con l’intento di potersi imbarcare e rientrare in Sardegna. Ciò fu impossibile e dovette fermarsi nella capitale dove prese contatto con il Fronte Militare Clandestino dell’Aeronautica. Si mise anche in contatto con il personale di un ente denominato “Ufficio Assistenza Sardi”; erano molti i giovani che si rivolgevano a questo ufficio, desiderosi di ristabilire dei vincoli di solidarietà tra i sardi e convinti di trovarvi un clima familiare. In realtà l’ufficio forniva il necessario per coloro che volevano arruolarsi nelle formazioni fasciste, e soprattutto, individuava coloro che erano animati da sentimenti antifascisti e si rifiutavano di combattere. Anche Pasqualino Cocco cadde in questa trappola. Con un gesto estremo riuscì ad impedire il suo trasferimento al Nord per combattere con i repubblichini, ma i suoi superiori la fecero arrestare consegnandolo alle SS, i quali lo rinchiusero nel carcere di via Tasso. Qui condivise la sua cella con altri sei uomini, tre dei quali furono uccisi alle Fosse Ardeatine.
Agostino Napoleone era nato a Cagliari nel 1918, ma trascorse la sua infanzia a Carloforte. Nel 1940 frequentò la Regia Accademia Navale di Livorno, al termine della quale fece una carriera rapidissima che lo portò al grado di sottotenente di Vascello. Con l’uscita dell’Italia dalla guerra nel settembre del 1943, anche il Napoleone si trovò allo sbando come gli altri militari sardi e italiani. Scampato all’arresto insieme a due colleghi raggiunse Roma ed entrarono a far parte del Fronte clandestino di Resistenza della Marina. Il 15 o forse il 19 marzo, inseguito ad una delazione i tre amici furono arrestati dalle SS e incarcerati in via Tasso; condivisero la stessa tragica sorte alle Ardeatine.
Era nato a Dolianova, invece, il brigadiere Candido Manca, classe 1907. Si arruolò nell’arma dei carabinieri a 18 anni, frequentò il corso per allievi a Roma, dove rimase a vivere e dove conobbe la sua futura moglie. Dopo l’8 settembre, Roma, dichiarata città aperta era in realtà una città occupata militarmente dai tedeschi, i quali assediarono in breve tempo tutte le caserme della capitale arrestando i militari che non riuscirono a mettersi in salvo. Il Manca sfuggì ai rastrellamenti ed entrò a far parte del Fronte clandestino di Resistenza dei Carabinieri che operava a Roma e nel centro Italia.
Il 10 dicembre 1943 fu arrestato dalla Gestapo, prima di essere rinchiuso nel terzo braccio di Regina Coeli, trascorse tre giorni nel carcere di via Tasso, dove fu sottoposto ad interrogatorio.
L’ultimo martire sardo è Gerardo Sergi, nato nel 1917 a Portoscuso. Venne promosso carabiniere a piedi nel settembre del 1938, e trasferito alla Legione di Palermo. Dopo aver trascorso due anni in Sicilia, venne destinato all’VIII Battaglione Carabinieri e partì alla volta dell’Albania per partecipare alla Campagna di Grecia nel 1941. Rientrò in Italia il giorno della dichiarazione dell’armistizio, riuscito a sottrarsi alla cattura, anche Sergi raggiunse Roma, dove si mise in contatto con altri carabinieri che si preparavano ad agire nella clandestinità. Visse nella capitale come un normale cittadino con un identità falsa fino al 14 febbraio 1944, quando in seguito ad una delazione venne arrestato dalla polizia nazista e condotto a via Tasso.
I nove sardi insieme agli altri 326 prigionieri, il pomeriggio del 24 marzo 1944 furono prelevati dai rispettivi carceri dove erano rinchiusi; con le mani legate dietro la schiena furono fatti salire sui camion per condurli al luogo del loro martirio. Terminato il massacro, i tedeschi fecero esplodere l’ingresso delle cave, nel vile tentativo di occultare quei corpi e quanto era accaduto.
Domani 24 marzo una delegazione di sindaci dei paesi che hanno dato i natali ai martiri sardi, sarà presente a Roma per la commemorazione ufficiale a settanta anni dall’eccidio. Saranno presenti anche alcuni familiari e parenti delle vittime.
Numerose le iniziative dedicate alle vittime della strage. Il 29 marzo, Padria ricorderà Gavino de Lunas, uomo e cantante; seguirà il 30 Portoscuso con il ricordo del carabiniere Gerardo Sergi. Il 5 aprile Tula commemorerà l’insegnante Salvatore Canalis, infine il 24 e il 27 aprile, Narbolia e Sedilo ricorderanno rispettivamente l’avvocato Giuseppe Medas e il sergente Pasqualino Cocco.
Come ha scritto il presidente Napolitano nel telegramma inviato ai nove sindaci sardi, “a settant'anni da uno dei più efferati crimini nazisti, nel nostro Paese occorre mantenere vivo il ricordo dei tanti innocenti che hanno sacrificato la vita in nome dei princìpi di libertà e giustizia sociale, fondamento delle nostre istituzioni democratiche”.