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Schizza la disoccupazione ma le campagne sono abbandonate.

Per l'Istat record negativo dal 1977. Cosa fare per i piccoli comuni?

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Gli ultimi dati diffusi dall'Istat mostrano un tasso di disoccupazione che non si vedeva dal 1977: 12,2% con un incremento tra i giovani e nelle aree più depresse dello stato italiano. L'ultimo dato della Sardegna mostrava infatti un 16,4%. Secondo la Cia, la Confederazione italiana agricoltori, questi dati mostrano però un risvolto da prendere in considerazione, dato che nelle campagne sono stati creati negli ultimi due anni più posti di lavoro (+4,6%) rispetto ad altri settori. Secondo l'associazione, si può fare addirittura di più: il sistema agroalimentare sarebbe infatti pronto ad assorbire oltre 150mila disoccupati in breve tempo, “a patto che vengano abbattuti – afferma la Cia - costi e burocrazia che attanagliano le imprese”.

Imprese agricole a parte – il cui discorso, a tratti di natura fiscale, merita approfondimenti che non possono non toccare il sistema creditizio - occorre guardare a una realtà fatta di distese di terreni abbandonati nei territori comunali. I piccoli comuni, infatti, oltre alla disoccupazione devono fare i conti con lo spopolamento che da tempo li affligge. Alla mancanza di lavoro si sommano infatti le “razionalizzazioni”, le chiusure e gli accorpamenti dei servizi. Tali misure, basandosi sulla “diminuzione dell'utenza”, non fanno che aggravare la situazione condannando le comunità a una sempre maggiore marginalità (c'è chi parla di possibile scomparsa). Un argine a questa tendenza può venire proprio dallo sviluppo rurale.

Le idee non mancano. Abbiamo infatti un ventaglio di opzioni che vanno dall'assegnazione di terreni comunali (come proposto in alcune amministrazioni locali) all'esproprio delle terre private incolte (misura che ha trasformato la piccola cittadina andalusa di Marinaleda in un laboratorio fatto di sviluppo sostenibile e piena occupazione). Terreni da affidare a disoccupati. Certo, sarebbe azzardato vedere in questi esperimenti locali la soluzione alla crisi sistemica che investe il mondo ormai da un lustro. D'altronde la Germania è ancora forte per il suo apparato industriale e, specularmente, la Sardegna è arretrata a causa del suo scarso – e irrazionale - sviluppo industriale.

Ma sono possibilità che possono risollevare le nostre comunità e non solo dal punto di vista occupazionale. Oltre a ciò avremo infatti un impulso alle produzioni biologiche e al cosiddetto “Km 0”, uno sviluppo delle reti di acquisto collettive senza intermediari (o una fonte migliore per i piccoli negozietti che generalmente vendono quanto trasportato per migliaia di chilometri), un controllo maggiore dell'agro (la cui incuria è ossigeno per gli incendi), e una riappropriazione culturale tale da far superare quei “saperi e sapori” scanditi nelle pubblicità di quegli eventi che, una volta conclusi nell'arco di uno o due giorni, fanno ripiombare le comunità nella quotidianità che non ci soddisfa.

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