«Mentre i tagli agli Enti locali non si fermano, altrettanto non può dirsi a livello centrale con i singoli ministeri riescono a trovare molto più facilmente le risorse necessarie. Anche la Regione dovrebbe indirizzare in misura più significativa agli enti locali le risorse finanziarie, soprattutto con la promozione di politiche di sviluppo delle zone interne». La risposta di Paola Calaresu (Pozzomaggiore) fa da introduzione al tema sottoposto ai candidati sindaci del Meilogu: “Da quali altre voci dovrebbero tagliare i governi regionale e nazionale piuttosto che colpire gli Enti locali costretti (come sostiene l'Anci Sardegna) a fare i gabellieri?”
«Si potrebbe scrivere una enciclopedia sugli sprechi», così Roberto Marras (Bessude), che aggiunge: «oltre che dalle sostanziose indennità e vari bonus degli Onorevoli, dovrebbero tagliare dai quadri dirigenziali dei ministeri e delle innumerevoli società pubbliche che pesano non poco sui bilanci». Sulla stessa lunghezza d'onda Lucia Catte, Bastiano Ruda, Franscesco Spanu e Sabrina Sassu.
Per Catte (Romana) «è indispensabile partire proprio con l'eliminazione di tutti quegli enti di nomina Politica. Mi riferisco a tutti quegli enti strumentali (agenzie, autorità d’ambito, consorzi, società pubbliche e quanto altro) che esercitano funzioni in capo ai comuni e alle province, favorendo l’accentramento del potere decisionale ai livelli regionale e statale, attraverso la nomina di una pletora di presidenti, amministratori unici, amministratori delegati e manager che tra compensi, indennità e costi di funzionamento dei relativi consigli di amministrazione gravano sulle tasche dei cittadini italiani».
«Principalmente le voci che lo stato dovrebbe realmente tagliare – così Ruda (Thiesi) - sono tutte quelle che appartengono al sostentamento di carrozzoni ed enti che parzialmente offrono servizi al cittadino ma realmente sono parcheggi per politici non eletti e che per giustificarne il loro essere instaurano tutta la burocrazia di cui questo paese è schiavo. Si avrebbero di conseguenza bilanci più snelli e semplificazione burocratica».
«Ormai di questo si è parlato tanto – è quanto detto da Spanu (Bonnanaro) - ma fino a questo momento i tagli hanno riguardato sempre quella parte dei cittadini più deboli e gli enti locali. Secondo me occorre in primis snellire drasticamente la burocrazia, tagliare la dissennata spesa pubblica nei settori non produttivi, il finanziamento pubblico dei partiti, eliminare i carrozzoni regionali e statali, le provincie, ridimensionare le retribuzioni e le pensioni dei parlamentari, diminuire il numero dei consiglieri nelle varie regioni italiane, in generale tagliare i costi della politica e i privilegi conseguenti, eliminare le società partecipate improduttive, razionalizzare il numero delle regioni, etc.».
Questa la risposta di Sassu (Cossoine): «Ritengo spropositato il numero delle cosiddette società partecipate, pari a circa 8 mila, nate spesso non per perseguire i fini istituzionali degli enti controllanti, ma come bacino di assunzioni non necessarie ed ora al collasso. Credo che lo Stato e la regione debbano prestare maggiore attenzione nella programmazione delle risorse per investimenti utili alla crescita economica e sociale del nostro paese. Anche i costi della politica sono eccessivi, mentre è ridicolo e demagogico pensare che si possa ridurre il costo della politica attraverso la riduzione del numero di consiglieri comunali, che prestano la propria attività sostanzialmente a titolo gratuito, accollandosi notevoli responsabilità».
Per Soletta (Thiesi) i tagli agli sprechi si uniscono alla lotta alla corruzione: «Di certo però va fatto un taglio alle spese della politica dei piani alti, in particolare mi riferisco al taglio degli stipendi degli organi istituzionali, ai vitalizi e al cumulo di pensioni con le retribuzioni offerte dalla carica pubblica. Un altro aspetto riguarda la corruzione e l'infiltrazione del sistema malavitoso nelle varie strutture statali. Senza la risoluzione di questi problemi gli unici a pagare saranno i cittadini che vedranno ridotti sempre di più i trasferimenti per i servizi essenziali che eroga il proprio comune di appartenenza e un abbassamento del livello degli stessi». Anche il sindaco thiesino uscente tende a ricordare che «nel corso degli ultimi anni, sono stati proprio i comuni l’unica parte della pubblica amministrazione che ha contribuito a ridurre il debito pubblico e che se lo Stato avesse fatto altrettanto, non si sarebbe raggiunta questa fase di grossa criticità».
«Oltretutto – così Mereu (Mara) - non è detto che solo i tagli alla spesa possano essere la soluzione migliore, un investimento pubblico, se fatto con criterio può portare ad un aumento del benessere collettivo, naturalmente non dovrebbero esserci gli sprechi e il malaffare che purtroppo caratterizzano gli investimenti pubblici in Italia e in Sardegna».
Pischedda (Pozzomaggiore) punta il dito contro il patto di stabilità: «il governo regionale e quello nazionale dovrebbero innanzitutto cancellarne completamente i vincoli e rivedere i processi di erogazione dei fondi di solidarietà. In particolare per quanto si riferisce i piccoli Comuni, ad esempio le imposte locali dovrebbero essere riversate completamente ai Comuni stessi, che sarebbero così in grado di assolvere puntualmente ai compiti istituzionali nella libertà della programmazione, e cessare nella funzione di gabellieri dello Stato».
Deiana (Giave) e Sassu (Siligo) spostano l'orizzonte delle risposte. «Maggiore attenzione nella spendita indirizzata verso le grandi opere – così Deiana - ma anche verso tutti i lavori pubblici in genere. Non è concepibile che la realizzazione di una strada (vedi il lotto 0 della Sassari-Olbia costi l’800% in più del costo di appalto). Vanno rimessi in discussione alcuni diritti “acquisiti” come le maxi pensioni. Taglio di tutti i vitalizzi e pensioni generati dall’attività politica a tutti i livelli regionale e nazionale oltre ai trattamenti di fine rapporto di dirigenti di enti e società partecipate dallo stato milionari. Introdurre la possibilità di scaricare tutti gli acquisti dei privati cittadini dalla propria dichiarazione dei redditi abbattendo così drasticamente l’evasione fiscale. Indirizzare i vantaggi degli ecoincentivi per la produzione di energia alternativa agli enti locali e non permettere la speculazione in atto a favore di multinazionali nazionali e ancor più straniere della risorsa vento, sole, acqua quali risorse di tutti e delle quali per principio dovrebbe godere la collettività. Ma soprattutto oltre ai tagli avere il coraggio di investire sul settore primario primo volano in grado di garantire il rilancio dell’economia regionale e nazionale».
Sassu, oltre al taglio di «enti, Consorzi e Istituzioni inutili» e alla «dismissione seria del patrimonio immobiliare dello Stato e della Regione a beneficio del debito pubblico» propone una riduzione delle spese militari nella prospettiva di un «esercito europeo con un sistema di difesa unificato»: «Si eviterebbero ingenti spese per armamenti e mezzi (si pensi agli aerei da guerra che da soli valgono mezza manovra finanziaria) agli Stati membri. Spese tutte che, specie nel caso dell’Italia, concorrono in maniera pesantissima all’incremento del debito». «Per quanto attiene i comuni – ha concluso Sassu - siamo passati dalla filosofia (certo sbagliata) di uno Stato centrale assistenzialista degli anni dal dopoguerra ai primi anni del nostro secolo, ad uno Stato dove le risorse (fintamente perequate) vengono sottratte a territori già poveri. Le tasse e l’Irpef che tutti noi versiamo allo Stato, non tornano più nemmeno in minima misura, a noi cittadini. Come è possibile pensare di uscire dalla crisi con politiche simili?».